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Dazi USA, serve una risposta politica


Dopo l’annuncio di Donald Trump del 2 aprile scorso, l’Unione Europea si è ritrovata di fronte al fatto

compiuto: gli Stati Uniti applicheranno alle merci europee una tariffa doganale minima del 20%.


Una misura presentata come basata sulla “reciprocità” rispetto alle presunte barriere commerciali imposte

dal Vecchio Continente, ma che si fonda su dati distorti e logiche unilaterali.


Secondo Trump, l’Europa imporrebbe ai prodotti americani una media del 40% di dazi: un'affermazione assolutamente falsa. Le tariffe applicate dall’UE sono pubblicamente consultabili tramite strumenti ufficiali come Access2Markets e la TARIC (Tariffa Integrata Comunitaria), e nella stragrande maggioranza dei casi oscillano tra lo 0% e il 7%, salvo eccezioni limitate a settori strategici come l’acciaio e l’agricoltura, soggetti a misure di salvaguardia specifiche.


L’origine del 20% imposto dagli USA non è legato a una reale media tariffaria europea, ma ad un’operazione arbitraria: il calcolo del surplus commerciale UE verso gli Stati Uniti (circa 172 miliardi di dollari secondo i dati della casa bianca) diviso per il valore complessivo delle esportazioni statunitensi verso l’U.E. (circa 384 miliardi, anch’esso attribuito dagli USA), che restituisce un numero vicino allo 0.44, arrotondato a 0.4 che secondo l’amministrazione Trump darebbe un 40% di tariffe).


In verità questi dati già di per sé lasciano parecchi dubbi dacché non tengono conto dello scambio di servizi, i quali vedono gli USA prevalere sull’UE ed in ogni caso risultano distorti in quanto come da tabella sotto nel 2024 le importazioni di merci dagli USA si sono attestate intorno ai 350 miliardi mentre l’export verso Washington ha sfiorato i 550 miliardi. Questo calcolo è dunque totalmente privo di fondamento.


La questione non è solo economica, ma politica e strategica.


Il ritorno dell’unilateralismo americano, mascherato da difesa dell’industria nazionale, rappresenta un attacco diretto alla logica multilaterale del commercio internazionale.


Non si tratta solo di protezionismo: il nuovo posizionamento geopolitico degli Stati Uniti guarda sempre più all’Indo-Pacifico, in chiave di contenimento della Cina, e marginalizza progressivamente l’Europa. Il messaggio è chiaro: Washington è pronta a usare anche lo strumento economico per ridisegnare le gerarchie globali.


In questo quadro, la cooperazione con la Cina – prima potenza industriale al mondo – non può essere un tabù ideologico.


È necessario superare una visione puramente difensiva dei rapporti con Pechino. Non si tratta di scegliere tra Cina e Stati Uniti, ma di costruire un’autonomia strategica europea capace di dialogare con tutti gli attori globali, a partire da interessi concreti, regole condivise e cooperazione tecnologica, ambientale e industriale.

L’Unione Europea non può permettersi una risposta solo tecnica o attendista. Serve una presa di posizione politica netta. È necessario:

  • Rivendicare con forza la trasparenza e legalità del proprio sistema tariffario, basato su regole comuni e accessibili.

  • Difendere l’autonomia economica e industriale europea attraverso politiche di reindustrializzazione e protezione delle filiere strategiche.

  • Promuovere alleanze commerciali alternative e accordi di cooperazione con i Paesi del Sud globale e l’Asia, inclusa la Cina, rompendo la dipendenza da un ordine internazionale sempre più sbilanciato.

  • Contribuire al riassetto internazionale, basando la propria politica sulla cooperazione e su scelte condivise che ridimensionino lo strapotere USA nel commercio e nelle scelte globali.


Non è solo una questione di dazi: è in gioco il nostro ruolo nel mondo.

La sovranità europea si difende anche sul piano commerciale, ponendo al centro l’interesse collettivo, la condivisione e la giustizia economica.

 
 
 

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